Quantcast
Channel: infosannio
Viewing all 35654 articles
Browse latest View live

“Ladro è bello”: di Marco Travaglio

$
0
0

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Evviva, erano solo ladroni! Evviva, non erano anche mafiosi! Evviva, a Roma la mafia non c’è! Erano tutte calunnie contro la nostra bella Capitale morale! E ora, per favore, fuori dai coglioni quei pericolosi incensurati dei 5 Stelle! Aridatece i puzzoni che, poveretti, si limitavano a rubare! Uno legge i titoli e gli articoli di giornalini&giornaloni sulla sentenza del processo all’ex Mafia Capitale, ora derubricata a Tangentopoli Capitale e, pur abituato a tutto, non può far altro che scompisciarsi. Sia per i delirii dei garantisti all’italiana che esultano come se avessero vinto la bambolina, sia per quelli speculari e contrari dei vedovi inconsolabili dell’associazione mafiosa, caduta nel giudizio di primo grado. Noi abbiamo sempre pensato e scritto, dopo i due blitz del 2014 e del 2015 con decine di arresti e centinaia di indagati per associazione mafiosa, corruzione, concussione, turbativa d’asta, estorsioni e altre delizie, che il sacco di Roma perpetrato per almeno un decennio da destra&sinistra fosse ampiamente provato da fotografie, filmati, intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e testimonianze. E che, come in ogni processo, la qualificazione giuridica dei fatti si prestasse a diverse letture, che dipendono dal libero convincimento di ogni giudice e anche dalla vetustà e ambiguità delle norme sull’associazione mafiosa rispetto alle evoluzioni sempre nuove del malaffare. Dunque nessuno poteva né può dire con certezza né che quella banda di criminali non sia mafia, né che lo sia – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 22 luglio 2017, dal titolo “Ladro è bello”.

L’associazione mafiosa non è un’invenzione della Procura: è stata confermata in varie pronunce cautelari e anche di merito da diversi giudici “terzi” (gip, gup, Riesame, addirittura Cassazione) e negata da altri (in ultimo dal Tribunale che per ora ha l’ultima parola e dunque, per convenzione, ha ragione). Ma quando i giudici dicevano “sì mafia”, venivano da molti bollati come “appiattiti sui pm” e “servi della Procura”, mentre ora che il Tribunale dice “no mafia” viene da molti applaudito come “garantista” e “coraggioso”. Infatti il Foglio di Ferrara e del rag. Cerasa – celebri per attaccare qualunque indagine o processo e difendere qualunque condannato dell’orbe terracqueo (salvo ci siano di mezzo i 5Stelle) – si spellava le mani per lo “splendido giudice che con coraggio ha cancellato” il 416-bis. Oh bella, e da quando in qua il Foglio prende per buona una sentenza? Solo quando gli dà ragione, non fateci l’abitudine. Se lo splendido giudice che con coraggio ecc. avesse confermato il 416-bis, sarebbe uno dei tanti brutti, sporchi, cattivi e “appiattiti”.

Tipo quelli che hanno osato condannare Contrada, Dell’Utri e altri idoli di Ferrara e del suo ragioniere. L’altra faccia della medaglia è Repubblica che, dopo tanti romanzi criminali ed elogi alla Procura di Roma – roba seria grazie all’infallibile Pignatone che fa solo i processi vinti in partenza, quelli provati e straprovati, mica come certi scavezzacollo giustizialisti di Palermo ieri e di Napoli oggi -, ora fatica a spiegare perché Dell’Utri e Cosentino sono dentro per mafia e Carminati esce dal 41-bis perché non è mafioso. Poi ci sono i giornali terzisti, cioè furbastri, tipo Stampa e Messaggero, che mai osarono criticare Pignatone prima e neppure osano oggi, figuriamoci: in compenso dicono che questa è una lezione ai 5Stelle che osavano parlare di mafia (loro, mica la Procura) e addirittura vincere le elezioni con la Raggi al grido di “onestà” (slogan insensato, visto che a Roma non si mafiava, ma solo si rubava: quindi ripetiamo le elezioni e richiamiamo in servizio i ladroni).

Quando finalmente qualcuno scoprirà la differenza tra verità processuale e verità storica, sarà sempre troppo tardi. Ma i politici ladri hanno provocato anche questo danno: fare un tutt’uno della cronaca politica e di quella giudiziaria, autorizzando commentatori politici che non distinguono un processo da un paracarro e un’aula di giustizia dalla buvette di Montecitorio a improvvisarsi giureconsulti. Come se un critico televisivo commentasse le ricette di Cracco e un cronista di ippica analizzasse la manovra finanziaria. Questi giuristi per caso confondono i processi con le elezioni e le partite di calcio: uno vince e l’altro perde. Pensano che, se il pm ipotizza un reato e il giudice opta per un altro, il primo ha sbagliato e il secondo ha ragione. Non sanno che la giustizia è una convenzione dove l’ultimo magistrato che parla prevale sul precedente, ma nessuno può dire chi ha ragione e chi ha torto. E le indagini e i processi servono a stabilire se un delitto è stato commesso; e, se sì, di quale reato si tratta; e se il sospettato lo ha commesso per davvero o, meglio, se esistono prove sufficienti per condannarlo. Certo, ci sono anche sentenze che smentiscono i pm: quelle che affermano che si è preso il colpevole sbagliato, o che il delitto non è stato commesso. Ma sono rare e non c’entrano con l’ex Mafia Capitale. I fatti erano straprovati. I pm e alcuni giudici, visti i metodi violenti e intimidatori usati da alcuni imputati, li hanno ritenuti sufficienti per l’accusa di associazione mafiosa, il Tribunale no (anche se non si è mai sognato di negare che a Roma la mafia esista: esistono – come a Milano, a Torino, a Reggio Emilia, non solo al Sud – cosche mafiose, camorriste, ’ndranghetiste, nomadi e autoctone che controllano traffici illeciti e illeciti, ma non erano oggetto di questo processo). E dalle motivazioni sapremo perché (magari perché del metodo violento e intimidatorio tipico del 416-bis esistono alcuni indizi, ma non la prova piena). Poi seguiranno l’appello e la Cassazione. Ma non sposteranno di un millimetro la sostanza dei fatti, cioè il monumentale latrocinio perpetrato ai danni della Capitale: potranno solo confermare o smentire il no all’associazione mafiosa, interpretare una tangente come corruzione o concussione o traffico d’influenze. E nulla più.

Cos’è dunque questa isteria collettiva, fra chi esulta e chi si straccia le vesti? Da che mondo è mondo, il pm propone e il giudice dispone. Se il giudice desse sempre ragione al pm, non ci sarebbe bisogno dei processi: basterebbero le indagini, come nei regimi autoritari. Gli unici che oggi hanno il diritto di gioire sono gli avvocati di Buzzi, Carminati & C. che, anziché negare tutto, anche l’evidenza, avevano onestamente impostato le difese sull’assioma “ladri sì, mafiosi no”, ora riconosciuto dal giudice. Ma i politici e i giornalisti, che dovrebbero badare ai fatti anziché ai distinguo giuridici, che avranno da festeggiare?
Buzzi e Carminati facevano il bello e il cattivo tempo in Comune e in Regione, nelle municipalizzate e nelle imprese, col Pd e col centrodestra, e si sono beccati 19 e 20 anni di carcere: qualcuno ne risponderà? Odevaine era il capogabinetto del sindaco Veltroni, poi il capo della Polizia provinciale del presidente Zingaretti, poi il coordinatore richiedenti asilo di Alfano??, e s’è beccato 8 anni. Nessuno ha nulla da dichiarare? Gramazio era il capogruppo del centrodestra in Regione e s’è beccato 11 anni: niente da dire? Panzironi era il capo dell’Ama col centrodestra e s’è beccato 10 anni: tutto normale? Coratti era il presidente Pd del Consiglio comunale, cioè decideva gli ordini del giorno, le cose da discutere e le cose no, e si è beccato 6 anni: tutto ok? Tassone, minisindaco Pd di Ostia, s’è beccato 5 anni: quisquilie? I partiti che li hanno candidati, nominati, fatti eleggere, promossi e premiati malgrado fossero tutti chiacchieratissimi, quando avranno finito di discettare sul 416-bis, ci diranno qualcosa sulla selezione della loro classe dirigente?

Alla fine non tutti i mali vengono per nuocere. Se i politici erano così affezionati all’associazione mafiosa, era per scaricarsi la coscienza sul Grande Alibi. Se quella era mafia, e notoriamente le mafie si nascondono, era impossibile scoprirla. Se quella era mafia, e notoriamente le mafie sparano, era impossibile resisterle. Invece no: era una banda di ladroni, resistibilissima e visibilissima anche a occhio nudo. Chi non l’ha vista e non l’ha contrastata, anziché pontificare ancora, dovrebbe usarci la cortesia di andare a nascondersi. E sparire.

Articolo intero su Il Fatto Quotidiano in edicola oggi.



Pietrangelo Buttafuoco: “Il Berlusconi di Sorrentino”

$
0
0

Leggere il resoconto dell’incontro tra Berlusconi e il regista Paolo Sorrentino – la succosa cronaca di Malcom Pagani sul Messaggero – ci costringe, con i due ormai presi d’intesa, a un dettaglio

(di Pietrangelo Buttafuoco – ilfoglio.it) – La biografia di Silvio Berlusconi è l’autobiografia di tanti. E leggere il resoconto dell’incontro tra Berlusconi e il regista Paolo Sorrentino – la succosa cronaca di Malcom Pagani sul Messaggero – ci costringe, con i due ormai presi d’intesa, a un dettaglio: il celeberrimo mausoleo di Pietro Cascella­ – il monumento funebre di Arcore – dove di volta in volta il Cavaliere offre a chi lo merita un loculo, resta come un sottofondo in sordina, giusto a radicare l’avventura dell’estroso Silvio nella concreta finitezza comune a tutti. E però anche questo è un’opera aperta. Emilio Fede che lo teneva da conto, il posto ­– è giusto un esempio – già l’ha persa la possibilità. Chissà il ghigno del grande Toni Servillo: si scopron le tombe, si sfrattano i morti.


Massimo Gramellini: “Per chi vota Montanelli”

$
0
0

(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Chissà con chi starebbe oggi Montanelli, che votava per la Democrazia Cristiana turandosi il naso, chiede un lettore orfano della sua penna. Nessuno può saperlo, ma giocare a immaginarlo è un modo per sentirlo ancora vicino, nel sedicesimo anniversario della sua morte. Più che l’imbarazzo della scelta, temo sarebbe stata la scelta a imbarazzarlo. Del conterraneo Renzi avrebbe apprezzato il vitalismo degli inizi, molto meno l’atteggiamento guascone e il caratteraccio toscano votato alla rissa perpetua. Ma anche per digerire Grillo e Salvini gli sarebbero mancati gli enzimi. Da borghese anarchico qual era, non sopportava i populisti: la sola vista di una processione o di un corteo gli procurava l’orticaria. Non per questo avrebbe suonato la grancassa di Bruxelles, lui che definì la nascita dell’Europa un funerale voluto da De Gasperi, Adenauer e Schuman, tre democristiani interessati più al destino dei morti che a quello dei vivi. Quanto a Berlusconi, ricordiamo tutti che cosa ne pensava e non è detto che a fargli cambiare idea sarebbe bastata la svolta animalista, benché Montanelli amasse un cane lupo che aveva chiamato Gomulka come il capo dei comunisti polacchi e si fosse piazzato in ufficio il merlo parlante di Rizzoli, capace (il merlo, non Rizzoli) di mandare a stendere Spadolini, inaugurando quella politica del vaffa che avrebbe poi conosciuto enorme fortuna. Caro lettore orfano di Indro, mi spiace deluderla, ma non so nemmeno se voterebbe, figuriamoci per chi. Di una cosa però sono sicuro: lo farebbe più che mai al solito modo. Turandosi il naso.


Migranti politici (il trailer)

$
0
0

(Mattia Feltri – lastampa.it) – Nel novembre del 2013 cinquantanove migranti politici lasciano i gruppi parlamentari di FI per fondare Ncd e restare nel governo Letta, poi nel governo Renzi, poi nel governo Gentiloni. Nel frattempo: Alberto Giorgetti torna in FI, Paolo Naccarato arrivato dalla Lega passa a Gal, Antonio D’Alì torna in FI, da Sc arriva Gabriele Albertini, Sveva Belviso lascia Ncd e fonda AltraDestra, dal M5s passando dal Misto arriva Fabiola Anitori, Ncd si fonde con Udc e nasce Ap, Giuliano Cazzola passa al Misto, Barbara Saltamartini passa alla Lega, da FI arriva Antonio Marotta, alle comunali Ap a Milano è col centrodestra, a Isernia col centro, a Napoli col centrosinistra, poi Pietro Langella passa con Denis Verdini, Nunzia De Girolamo torna in FI, Massimiliano Salini torna in FI, Gaetano Quagliariello con Luigi Compagna, Andrea Augello, Vincenzo Piso e Eugenia Roccella lascia Ap e fonda Idea, Carlo Giovanardi lascia Ap coi Popolari Liberali e si fonde con Idea, Renato Schifani torna in FI, Alessandro Pagano passa alla Lega, Antonio Azzollini torna in FI, al referendum mezza Ap è per il sì, mezza Ap è per il no, Ap si scinde, Angelino Alfano scioglie Ap (intesa come Area popolare) e fonda Ap (intesa come Alternativa popolare), Giuseppe Esposito passa all’Udc, Maurizio Sacconi passa a Energie per l’Italia, mercoledì Enrico Costa ha lasciato Ap e forse tornerà in FI, ieri Massimo Cassano è tornato in FI, Maurizio Bernardo è passato al Pd. E questo è solo il trailer.


Galli della Loggia: “La politica senza potere nell’Italia del non fare”

$
0
0

Nessun Parlamento, nessun governo, nessun sindaco, può pensare davvero di far pagare le tasse a chi dovrebbe pagarle, di avere una burocrazia fedele alle proprie direttive, di licenziare tutti i mangiapane a tradimento che andrebbero licenziati, di ridurre l’enorme area del conflitto d’interessi, di stabilire reali principi di concorrenza

(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – Perché da anni in Italia ogni tentativo di cambiare in meglio ha quasi sempre vita troppo breve o finisce in nulla? Perché ogni tentativo di rendere efficiente un settore dell’amministrazione, di assicurare servizi pubblici migliori, una giustizia più spedita, un Fisco meno complicato, una sanità più veloce ed economica, di rendere la vita quotidiana di tutti più sicura, più semplice, più umana, perché ognuna di queste cose in Italia si rivela da anni un’impresa destinata nove volte su dieci ad arenarsi o a fallire? Perché da anni in questo Paese la politica e lo Stato sembrano esistere sempre meno per il bene e l’utile collettivi?

La risposta è innanzi tutto una: perché in Italia non esiste più il Potere. Se la politica di qualunque colore pur animata dalle migliori intenzioni non riesce ad andare mai al cuore di alcun problema, ad offrire una soluzione vera per nulla, dando di sé sempre e solo l’immagine di una monotona vacuità traboccante di chiacchiere, è per l’appunto perché da noi la politica, anche quando vuole non può contare sullo strumento essenziale che è tipicamente suo: il Potere. Cioè l’autorità di decidere che cosa fare, e di imporre che si faccia trovando gli strumenti per farlo: che poi si riassumono essenzialmente in uno, lo Stato. Al di là di ogni apparenza la crisi italiana, insomma, è innanzi tutto la crisi del potere politico in quanto potere di fare, e perciò è insieme crisi dello Stato.

Beninteso, un potere politico formalmente esiste in questo Paese: ma in una forma puramente astratta, appunto. Di fatto esso è condizionato, inceppato, frazionato. Alla fine spappolato. In Italia, di mille progetti e mille propositi si riesce a vararne sì e no uno, e anche quell’uno non si riesce mai a portare a termine nei tempi, con la spesa e con l’efficacia esistenti altrove. Non a caso siamo il Paese del «non finito»; del «non previsto»; dei decreti attuativi sempre «mancanti»; dei finanziamenti iniziali sempre «insufficienti», e se proprio tutto fila liscio siamo il Paese dove si può sempre contare su un Tar in agguato. Il potere italiano è un potere virtualmente impotente.

Perché? La risposta conduce al cuore della nostra storia recente: perché ormai la vera legittimazione del potere politico italiano non deriva dalle elezioni, dalle maggioranze parlamentari, o da altre analoghe istanze o procedure. Svaniti i partiti come forze autonome, come autonome fonti d’ispirazione e di raccolta del consenso, l’autentica legittimazione del potere politico italiano si fonda su altro: sull’impegno a non considerare essenziale, e quindi a non esigere, il rispetto della legge.

È precisamente sulla base di un simile impegno che la parte organizzata e strutturata della società italiana — quella che in assenza dei partiti ha finito per essere la sola influente e dotata di capacità d’interdizione — rilascia la propria delega fiduciaria a chi governa. Sulla base cioè della promessa di essere lasciata in pace a fare ciò che più le aggrada; che il comando politico con il suo strumento per eccellenza, la legge, si arresterà sulla sua soglia. Che il Paese sia lasciato in sostanza in una vasta condizione di a-legalità: come per l’appunto è oggi. È a causa di tutto ciò che in Italia nessun Parlamento, nessun governo, nessun sindaco, può pensare davvero di far pagare le tasse a chi dovrebbe pagarle, di avere una burocrazia fedele alle proprie direttive, di licenziare tutti i mangiapane a tradimento che andrebbero licenziati, di ridurre l’enorme area del conflitto d’interessi, di stabilire reali principi di concorrenza dove è indispensabile, di imporre la propria autorità ai tanti corpi dello Stato che tendono a voler agire per conto proprio (dalla magistratura al Consiglio di Stato, ai direttori generali e capi dipartimento dei ministeri), di tutelare l’ordine pubblico senza guardare in faccia a nessuno, di anteporre e proteggere l’interesse collettivo contro quello dei sindacati e dei privati (dalla legislazione sugli scioperi alle concessioni autostradali) e così via elencando all’infinito. Il risultato è che da anni qualsiasi governo è di fatto in balia della prima agitazione di tassisti, e lo Stato è ridotto a dover disputare in permanenza all’ultimo concessionario di una spiaggia i suoi diritti sul demanio costiero.

In Italia, insomma, tra il potere del tutto teorico della politica da un lato, e il potere o meglio i poteri concreti e organizzati della società dall’altro, è sempre questo secondo potere a prevalere. Da tempo la politica ha capito e si è adeguata, rassegnandosi a non disturbare la società organizzata e i suoi mille, piccoli e grandi privilegi. Il che spiega, tra l’altro, perché qui da noi non ci sia più spazio per una politica di destra davvero contrapposta a una politica di sinistra e viceversa: perché di fatto c’è spazio per una politica sola che agisca nei limiti fissati dai poteri che non vanno disturbati. Da quello dei parcheggiatori abusivi a quello delle grandi società elettriche che possono mettere pale eoliche dove vogliono.

Ma in un regime democratico, alla fine, il potere della politica è il potere dei cittadini, i quali solo grazie alla politica possono sperare di contare qualcosa. Così come d’altra parte è in virtù del potere di legiferare, cioè grazie allo strumento della legge, che il potere della politica è anche l’origine e il cuore del potere dello Stato e viceversa. Una politica che rinuncia a impugnare la legge, a far valere comunque il principio di legalità, è una politica che rinuncia al proprio potere e allo stesso tempo mina lo Stato decretandone l’inutilità. Rinuncia alla propria ragion d’essere e si avvia consapevolmente al proprio suicidio. Non è quello che sta accadendo in Italia?


Le cronache marziane di Tito Boeri

$
0
0

(di Cristofaro Sola – opinione.it) – Negli anni Sessanta Gino Bramieri faceva ridere l’Italia con la barzelletta di quel tale che… era così pigro, così pigro, ma così pigro che ha sposato una donna incinta.

È trascorso mezzo secolo e ora ci pensa Tito Boeri, presidente dell’Inps, a tenerci alto l’umore con una gag esilarante. Ieri l’altro, nel corso dell’audizione presso la Commissione d’inchiesta della Camera dei deputati sui migranti, Boeri ha tirato fuori la migliore battuta del suo repertorio: “Sin qui gli immigrati ci hanno ‘regalato’ circa un punto di Prodotto interno lordo di contributi sociali a fronte dei quali non sono state erogate delle pensioni”.

In pratica se i nonni e le nonnine d’Italia possono ancora concedersi il lusso di un piatto caldo in tavola lo devono alla generosità degli immigrati. Nessuno scandalo. In un Paese alla rovescia è plausibile che il gestore dei conti previdenziali si conceda a simili castronerie. Occhio, però! Il ragionamento da cui scaturisce questa imperdibile perla di saggezza non va banalizzato: esso nasconde pericolose insidie. Sostiene Boeri: gli immigrati versano contributi per 8 miliardi di euro, ne ricevono indietro 3 in prestazioni sociali e pensioni, quindi l’avanzo di 5 miliardi è destinato a pagare le pensioni degli italiani. Non fa una grinza. Visto che ci siamo, proseguendo nella logica di Boeri, perché non aumentare la presenza di migranti? Secondo le stime, entro il 2040, il fabbisogno della previdenza non potrà fare a meno dei 38 miliardi previsti come avanzo netto nel saldo tra versamenti e prestazioni erogate ai lavoratori immigrati. Ma perché per l’Inps gli stranieri sarebbero così preziosi da non poterne fare a meno? Essi hanno un raro in pregio: da vecchi se ne tornano a casa loro senza poter riscattare le somme versate all’Inps.

Ecco come si generano le sopravvenienze nel bilancio dell’Istituto di previdenza: incamerando i soldi di quelli che rinunciano a chiederli. Ecco perché i lavoratori italiani vanno scartati. Costano di più e hanno un vizio incorreggibile: dopo che per quarant’anni e passa smettono di farsi un mazzo a lavorare, cosa fanno? Osano chiedere allo Stato che gli venga erogata la pensione per tirare a campare. Che assurda pretesa! Cento volte meglio, allora, importare manodopera da fuori che paga quei contributi previdenziali che lo Stato non gli restituirà mai. Una macchina pubblica del genere somiglia più a una bisca che ad uno strumento della democrazia compiuta. Boeri teorizza il gioco delle tre carte. Tuttavia, la verità è all’opposto. Esiste una concreta possibilità che quegli immigrati regolari mettano radici in Italia. E decidano un giorno di non tornare ai loro Paesi d’origine ma di starsene qui a godere i frutti dei propri sacrifici. Allora addio a quel bell’avanzo di in cassa che Boeri dà per scontato. Non c’è bisogno di essere dei top manager per comprenderlo. Chiunque lo capirebbe. Per raddrizzare la barca dell’Inps non occorrono trovate d’ingegno, frutto di un’esasperata faziosità ideologica. Occorre altro. C’è bisogno della buona politica che aiuti i giovani a mettere su famiglia, che li sostenga nel loro ruolo genitoriale, che gli assicuri un futuro lavorativo decente, che gli dia la possibilità di costruirsi il futuro versando per tempo ciò che servirà a sostenere i loro bisogni una volta divenuti anziani. C’è bisogno di una classe dirigente che creda nella preservazione e nella continuazione dell’identità italiana attraverso la successione delle generazioni.

Non si avverte l’esigenza, invece, di ascoltare un buontempone che, rifacendo il verso a Gino Bramieri, ci spiega che per risolvere la crisi demografica e rimettere a posto i conti pubblici si fa prima a importare gente da fuori piuttosto che a sottoporsi allo stress di concepire nuovi italiani, farli nascere e tirarli su. Qualcuno direbbe che, in fondo, non ci sarebbe gran differenza con gli immigrati. Di questi tempi i figli sono anche loro degli estranei, tanto che non sai chi ti metti in casa. Indro Montanelli la pensava così.


Giallo sull’addio di Ultimo e randellate nei servizi segreti, torna l’incubo degli apparati dello Stato deviati

$
0
0

(di Fabrizio Gentile – lanotiziagiornale.it) – Di cosa è venuto a conoscenza il “Capitano Ultimo” nell’anno in cui ha lavorato all’Aise? E sopratutto, eventuali dettagli scottanti sono a conoscenza anche del capo dell’Agenzia di intelligence estera, ovvero Alberto Manenti? Sono in molti a ritenere che il mistero italiano dell’estate passi proprio attraverso queste due domande. Il problema è che quando si parla di Servizi segreti va quasi sempre a finire che le risposte sono multiple. E ognuno, a patto che la verità vera non emerga, può darsi le risposte che preferisce. Come in un romanzo giallo con il finale aperto. Alcuni ipotizzano che De Caprio possa essere venuto a conoscenza di novità sensibili sull’inchiesta Consip.

Il quadro – Inchiesta che, giova ricordare, ha messo a soqquadro il “giglio magico”, coinvolgendo il papà di Renzi e il fedelissimo ministro dello sport Luca Lotti, e ha colpito alcuni alti esponenti dell’Arma dei Carabinieri, in particolare il numero uno Tullio Del Sette (recentemente confermato da Gentiloni) e il capo della Legione Toscana Emanuele Saltalamacchia. Lo schema di base, secondo le ricostruzioni relative alla cacciata di Ultimo dall’Aise, sarebbe stato un contatto mai perso tra il colonnello De Caprio e gli ex colleghi del Noe, in particolare il capitano Gianpaolo Scafarto, fino a qualche mese fa uno dei principali investigatori sul caso Consip. Come rivelato tempo fa da La Verità, Scafarto ha trasmesso alcuni file riservati alla segreteria di De Caprio. In uno di questi si parlava dello 007 Marco Mancini (già assurto agli onori della cronaca per il rapimento dell’imam Abu Omar), il quale avrebbe presentato a Italo Bocchino, ex parlamentare e poi lobbista dell’imprenditore Alfredo Romeo, l’ex numero uno della Cia in Italia Robert Gorelick.

Il retroscena – A quanto pare Romeo, poi azzoppato dall’inchiesta sull’appaltone Consip relativo al facility management, in quel frangente era interessato a una commessa della Marina militare americana e per questo avrebbe cercato un canale con l’ambasciata a stelle e strisce. Insomma, anche qui dettagli che in un modo o nell’altro riportano i ragionamenti all’inchiesta Consip, lanciata all’epoca dal pm napoletano Henry John Woodcock, uno dei più grandi estimatori e fruitori delle capacità del Capitano Ultimo. Ecco, tutto allora potrebbe riportare al tipo di informazioni acquisite da De Caprio nell’ambito di questi contatti mai tagliati con gli ex colleghi del Noe. Per questo, secondo alcune interpretazioni, è possibile che a un certo punto il Capitano Ultimo, pur inizialmente benvoluto da Manenti, sia diventato un problema da gestire. Da qui la cacciata, che lo stesso De Caprio ha seccamente smentito parlando di un rientro all’Arma dei Carabinieri come decisione “autonoma”.

Tornano le trame oscure. E il Governo non sta sereno

Ormai si sta delineando come la battaglia dell’estate. Perché comunque la si metta, l’uscita traumatica dall’Aise dal famoso “Capitano Ultimo” avrà sicuramente altri strascichi. Magari sotterranei, come si addice alla storia dei Servizi Segreti, ma sicuramente pesanti. Tra l’altro in queste ora si sta registrando sulla vicenda il silenzio assordante della politica. Per carità, non che dalla delicatezza della questione ci si potesse aspettare chissà che cosa. Ma l’imbarazzo cui cui ai piani alti del Governo si osserva la vicenda è sin troppo eloquente. I reseconti giornalistici di questi giorni hanno accreditato la versione della cacciata di “Ultimo”, ossia il colonnello Sergio De Caprio, dalla nostra agenzia di intelligence estera perché all’insaputa dei suoi vertici avrebbe continuato ad avere contatti con i suoi ex colleghi del Noe, in particolare con Gianpaolo Scafarto, fino a qualche mese fa uno dei principali investigatori del caso Consip (successivamente estromesso e indagato per falso).

La prima versione – Secondo queste ricostruzioni Ultimo avrebbe intrattenuto questi rapporti “a totale insaputa dei vertici dei servizi”. I virgolettati riguardano del resto proprio la versione fatta filtrare sulle agenzie di stampa dall’Aise, guidata da Alberto Manenti. Il quale, secondo diversi articoli di stampa emersi a gennaio, avrebbe fortemente voluto De Caprio all’Aise. Il tutto, si suppone, anche con il placet del ministro dell’interno Marco Minniti, che negli ultimi tre Governi (Letta, Renzi, Gentiloni) ha sempre avuto la delega sui Servizi segreti. Naturalmente né Gentiloni né Minniti (né ovviamente Renzi) si sono fatti sentire sulle vicende accadute nelle ultime 48 ore. E come detto questo silenzio, sebbene comprensibile, è piuttosto eloquente. Naturalmente sul piatto restano interrogativi enormi, il cui sviluppo dà la misura dello scontro in atto e della difficoltà di mettere a fuoco brandelli di verità. E’ per esempio possibile che Manenti non sapesse veramente nulla dell’attività svolta da Ultimo e da quella pattuglia di uomini che dal Noe erano con lui approdati a Forte Braschi? Se così fosse, non sarebbe come minimo imbarazzante per i massimi vertici dei Servizi segreti esteri constatare di non essersi resi conto di cosa accadeva a casa propria? Anche perché, a quanto pare, De Caprio era stato chiamato all’Aise proprio per curare un Nucleo sicurezza che riportava al massimo vertice dell’Agenzia, rappresentato da Manenti e dal suo braccio destro, ovvero il capo di gabinetto dell’Aise Giuseppe Caputo, in predicato in queste ore di essere promosso vicedirettore della stessa Agenzia.

Seconda ipotesi – E così, accanto alla versione di chi pensa che Manenti & Co. fossero veramente all’oscuro dell’attività di Ultimo, c’è la versione di chi pensa che Manenti non brancolasse proprio nel buio. E che il suo rapporto con De Caprio fosse arrivato a un punto di rottura nel momento in cui ci si è resi conto che Ultimo era a conoscenza di elementi a dir poco scottanti e politicamente sensibili. Nei misteri in cui confondere la verità, in ogni caso, si staglia anche la battaglia per la successione di Manenti, nominato da Renzi nel 2014, il cui mandato scadrà nel 2018. Una partita delicatissima, che potrebbe essere accompagnata da un bel seguito di sorprese.


La domanda è anche semplice: ma il Pd lavora per Unipol e le lobby o per i cittadini?

$
0
0

(Michele Fusco – glistatigenerali.com) – Molti anni intorno al potere come indagatore di altrui sentimenti hanno cementato una sola, ripeto una sola, certezza: il lobbismo italiano è non solo malato, ma estremamente pericoloso. Inquina il pozzo delle pari opportunità, le distorce, le manipola, le rimodella a uso e consumo di (legittimi) interessi personali che ovviamente contrastano con l’interesse più collettivo dei cittadini. Ovviamente nessun lobbismo è malato e pericoloso in sè, tanto che tutti i lobbismi certificati da leggi dello stato si reggono sulla sintesi sperabilmente virtuosa di interessi che spesso possono divergere, ma che nella migliore delle ipotesi possono invece diventare buona cosa per il corpo dei cittadini. Qui da noi quasi mezzo secolo di discussioni infinite non è riuscito a partorire una legge decente – giace in Senato, come si dice in questi casi, l’ennesimo disegno di legge  e ci si accontenta di un divertente quadernetto da quinta elementare dove il lobbista si farebbe riconoscere . Un lobbismo “alto”, per quanto possa essere alto il lobbismo italiano, fonda le sue certezze non su se stesso, diavolo tentatore per definizione, ma sulla capacità della politica di essere valido interlocutore. Valido è aggettivo non equivocabile, significa che il soggetto politico con cui ci si confronterà dovrà non solo essere indipendente, ma soprattutto sembrarlo. È del tutto escluso, anche per un senso di colpa secolare, che noi si possa minimamente aderire alla filosofia americana dove il parlamentare è dichiaratamente e apertamente riconducibile a interessi particolari e privatistici così da abbattere alla radice ogni ipocrisia.

È di questi giorni una vicenda che ha una sua perfezione stilistica e che spiega meglio di qualunque articolessa l’intreccio malato tra lobbismo e politica. È una vicenda che riguarda personalmente anche uno di noi, un giornalista serio come Gianluca Paolucci della Stampa, che per il solo fatto d’aver lavorato con coscienza si è visto arrivare in casa la Guardia di Finanza che naturalmente ha ribaltato ogni cosa della sua vita privata. Il tutto nasce da un’attenta ricostruzione di un periodo particolare, a inizio 2014 ancora a governo Letta, dove è in aperta discussione la riforma delle Rc Auto. Unipol si muove in maniera organica e pesante, com’è nei suoi legittimi interessi, arando il campo della politica, e si muove così “bene” che tutto a un certo punto va in vacca. Paolucci lo racconta compiutamente, anche con uso di suggestive e illuminanti intercettazioni. Per questo lavoro, che nei paesi a diritti ancora riconosciuti verrebbe configurato come «libertà di stampa», l’ad di Unipol, il signor Cimbri, si incazza grandemente e denuncia. Cosa non si sa. Si sa solo che quando il potere industriale minaccia le cose si fanno molto delicate in una democrazia pericolante come la nostra.

Disponetevi a un ascolto sereno di queste intercettazioni. Sono come piccole lezioni universitarie, è come se il professor Sartori, maledetto toscano che ha formato tanti studenti, vi narrasse la politica nelle sue pieghe più problematiche. C’è molto, c’è il lavoro alacre di Unipol per portare a casa il (suo) risultato. E questo non meni scandalo, è ciò che spetta a un’azienda in un mondo liberale dove gli interessi circolano. Liberi, sperabilmente. Ciò che invece appare straordinariamente “fuori contesto” è il comportamento dei politici coinvolti in questi dialoghi, che avvengono tra il presidente di Unipol, Pierluigi Serafini, e l’affannatissimo Genovese, che governa appunto le relazioni istituzionali del gruppo. Dai dialoghi molto franchi tra i due, si staglia una figura di riferimento, quella di Yoram Gutgeld, un nome che vi sarà notissimo, essendo uomo di grande passato in banche d’affari, oggi e al tempo dei fatti deputato Pd, consigliere economico di Renzi, e soprattutto colui al quale è stata affidata la famosissima spending review (dopo decapitazioni varie di soggetti non troppo in linea con la visione renziana, ultimo il mite ma inflessibile professore della Bocconi, il Perotti, che gli contesta tutti i dati). Insomma, cosa si dicono i due Unipol di «Yoram», come lo chiamano molto affettuosamente? Che gli hanno depositato sulla scrivania carrettate di emendamenti che il medesimo dovrà portare a buon fine, che il medesimo telefona di buon mattino (al Genovese) per dirgli con molta disciplina che no, quella cosa non procede, che bisogna fare così, piuttosto che così. Insomma, il buon «Yoram» sembra nella disponibilità politica di Unipol, o così almeno Unipol fa credere nelle sue telefonate private (e quindi si immagina molto sincere e veritiere). Ci sarebbero anche un paio di accenni confidenziali su Carbone, ma noi personalmente non consideriamo Carbone mai in partita su nulla, neanche sul calciobalilla, dunque sorvoliamo.

Attraverso queste telefonate, è piuttosto facile capire perchè il lobbismo in Italia è malato e pericoloso. Perchè innanzitutto è malata e pericolosa la politica, prima di tutto. Perchè persone molto autorevoli come Gutgeld paiono figurine stinte nella mani di lorsignori, e ci saremmo aspettati in una democrazia compiuta che l’interessato, appena uscite le intercettazioni, le contestasse alla radice, potendolo fare. Che ci dicesse che il duo Serafini-Genovese millantava grandemente, denunciando, carte alla mano, quella ricostruzione infedele. Invece nulla. Questo era il Pd nel 2014, nulla parrebbe indicarci che qualcosa è cambiato.



Napoli, Funicolare Centrale: falsa partenza! Corse sospese alle 12:40

$
0
0

Chiediamo che sulla vicenda indaghi la Magistratura!

” Dopo 355 giorni di chiusura, con un ritardo di quasi il 20% sui tempi originariamente fissati per i lavori di revisione ventennale, indicati in 300 giorni, una spesa di oltre 7 milioni di euro, c’era grande attesa stamani da parte dei napoletani, con particolare riguardo agli oltre 28mila utenti che, nei giorni feriali, utilizzano la funicolare Centrale, per la riapertura, annunciata in pompa magna, con tanto d’inaugurazione, sindaco in testa, fissata per le ore 10:00 – afferma Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari e del Comitato per il Trasporto pubblico, che ha seguito l’intera vicenda sin dagli inizi, organizzando anche un sit-in per sollecitare il rispetto dei tempi annunciati -. Nel frattempo si erano anche sollevate numerose polemiche sia per il fatto che per riaprire l’impianto di piazza Fuga era stato necessario sospendere per il periodo estivo le corse della funicolare di Mergellina, in modo da poter sopperire alla carenza di personale, determinata dalle ferie estive, sia per l’orario ridotto con il quale sarebbe ripreso il servizio, dalle ore 7:00 alle 22:00, escludendo dunque la possibilità che il servizio si protraesse anche dopo le 22:00, come accadeva prima del fermo “.

” Dopo l’inaugurazione – puntualizza Capodanno -, con una corsa riservata alle autorità e rappresentanti degli organi d’informazione, la direzione decideva di anticipare l’apertura al pubblico alle ore 12:00, invece che alle 12:30, come comunicato originariamente. Dunque la prima corsa partiva alle 12:10. Ne seguiva un altra mista e poi alle 12:30 la corsa diretta “.

” A questo punto accadeva quello che nessuno avrebbe mai immaginato  – continua Capodanno -. La corsa delle 12:40 non partiva e le porte di accesso alle sale d’attesa venivano chiuse al pubblico. Corsa saltata dunque. Ma le sorprese non finivano qui, perchè saltava anche la corsa delle 12:50 e quelle successive “.

” Intanto – prosegue Capodanno – le persone che si accalcavano in piazza Fuga, in attesa che riaprissero le porte aumentavano, così come le proteste dal momento che nessuna notizia trapelava sia sulle ragioni del fermo che sulla durata dello stesso. Solo intorno alle 13:10 le porte si sono aperte e uno degli addetti ha cercato di calmare i passeggeri oramai esasperati, affermando che l’impianto era fermo per un guasto, non meglio precisato, alle porte e che, al momento, non c’erano notizie sui tempi di ripresa delle corse, che restavano sospese “.

” A questo punto la riapertura si è trasformata in un vero e proprio flop con un “giallo”- precisa Capodanno -. Com’è possibile infatti che, dopo tutti i lavori eseguiti sia alle parti meccaniche che a quelle elettriche ed elettroniche, così enfatizzati sugli organi d’informazione, dopo quasi un anno di fermo,  dopo tutte le verifiche effettuate nel corso del pre esercizio, dopo che è stato rilasciato anche il nulla osta della commissione dell’USTIF, che accada che, dopo appena tre corse, l’impianto si fermi e che ler corse vengano di conseguenza sospese per un guasto alle porte? “.

Capodanno non usa mezzi termini e, anche alla luce degli ultimi episodi, pure al fine di garantire la piena funzionalità e sicurezza dell’importante impianto a fune, chiede che sulla vicenda venga aperta un’indagine anche da parte della Magistratura oltre che dagli organi di controllo.


Pignataro Maggiore (CE): “Criminal” terza fatica letteraria di Salvatore Minieri

$
0
0

DISPONIBILE, DA QUEST’OGGI, IL TERZO LIBRO DELLO SCRITTORE PIGNATARESE SALVATORE MINIERI

 

(di Daniele Palazzo) – PIGNATARO MAGGIORE-Terza fatica letteraria per il noto giornalista professionista e scrittore Salvatore Minieri, che, dopo lo strabiliante successo ottenuto con “I Padroni di Sabbia” e “I Pascia’, Storia Criminale della famiglia Bardellino della discoteca “Seven Up”, è pronto a sfornare il terzo capolavoro della sua ottima produzione libraria. A catturare gli interessi di Minieri, ilcampo criminale, che lui, anche per i suoi trascorsi da giornalista d’assalto, conosce molto bene. Il nuovo tomo dello scrittore pignatarese, intitolato “Criminal” ed incentrato sull’orribile e raccapricciante vicenda che, circa un secolo fa, vide protagonista Enriqueta Martì, la  terribile mangiatrice di bambini, sulla cui tragica esistenza tanto e più di tanto è stato  detto e scritto. “Criminal”, che edito peri i tipi dell’editrice “Italia”, si presenta in buona veste grafica, è disponibile, a cominciare da oggi, 22 luglio, nella piccola distribuzione. Il lancio,in grande stile, del volume stesso è atteso per i prossimi giorni. Prossimamente,il notevole prodotto letterario, partorito dalla magica penna di Minieri, sarà posto a disposizione dei lettori, in diverse librerie delle regioni Lazio e Campania, su www.ibs.it e www.lafeltrinelli.it, noncbè sxu tutte le migliori libterie online.


Sant’Antonio Abate, Donadio: Regione stanzi fondi contro frane

$
0
0

L’ex consigliera comunale: «Rischio idrogeologico dopo allarme roghi»

S. ANTONIO ABATE – «Gli incendi di queste settimane ci lasciano in eredità non solo migliaia e migliaia di ettari di macchia mediterranea divorate dalla furia delle fiamme, ma anche il rischio idrogeologico».

A dirlo è l’ex consigliera comunale di Sant’Antonio Abate e leader del gruppo «Oltre», Donatella Donadio.

«L’arrivo delle piogge, sia estive che autunnali e invernali, comporterà un aumento esponenziale di frane e smottamenti sul Vesuvio ma anche sui Lattari e sul Monte Faito – ha aggiunto –. Una situazione di eccezionale pericolo per la pubblica e privata incolumità che non si deve in alcun modo sottovalutare».

«Sarebbe auspicabile che la Regione Campania, forte dei poteri che sono di sua specifica competenza, si attivasse – ha concluso la Donadio – per avviare un monitoraggio delle aree più sensibili e per interventi straordinari di messa in sicurezza. Non possiamo tollerare l’eventualità di una tragedia dopo aver subito già l’ingiusto danno dei roghi appiccati da mani criminali».

L’ufficio stampa


Maximarchetta Rai a Renzi: presenta il suo libro in diretta

$
0
0

Non ha cariche, ma il “servizio pubblico” lo tratta da autorità: due camion e telecamere. Il servizio d’ordine caccia la cronista del “Fatto.it ”: voleva fare domande

(GIANLUCA ROSELLI – il fatto quotidiano) – Forse nemmeno Silvio Berlusconi era mai riuscito a tanto. Perlomeno in Rai. Venticinque minuti di diretta televisiva, dalle 18.35 alle 19, con un potente dispiegamento di uomini e mezzi (due camion). Questo è ciò che è accaduto giovedì pomeriggio, quando Rainews, il canale all-news di Viale Mazzini, ha trasmesso l’ennesima presentazione del libro di Matteo Renzi, Avanti, collegandosi con il centro commerciale I Granai, periferia sud di Roma.

A intervistare il segretario del Pd c’era proprio il direttore di Rainews, Antonio Di Bella. Venticinque minuti di tv pubblica che manda in diretta la presentazione di un libro di un leader politico (in totale è durata 47 minuti, il video integrale si può vedere sul sito) che in questo momento non ricopre nessuna carica istituzionale.

Lo scandalo non è solo nei tempi, ma anche nel tono dell’intervista: l’ex direttore del Tg3 è parso per tutto il tempo sdraiato, mai una domanda scomoda, con l’ex premier che ha parlato come un fiume in piena, senza essere interrotto per minuti e minuti. Ma la questione principale resta la lunga diretta, in una giornata in cui, tra la sentenza del processo di mafia capitale e gli incendi che stanno devastando l’Italia, le notizie non mancavano.

LA VICENDA non è passata inosservata e sono in arrivo interrogazioni in commissione di Vigilanza. “Presenterò un’interrogazione, anche se temo che servirà a poco, viste le risposte criptiche che di solito mi arrivano da Viale Mazzini”, osserva il capogruppo forzista a Montecitorio, Renato Brunetta. “La cosa è scandalosa, ma possiamo consolarci col fatto che, ogni volta che appare in tv, Renzi fa perdere ascolti ai programmi e voti al Pd. Quindi dico un ‘bravo’ a Di Bella e spero che la prossima intervista duri 90 minuti”, aggiunge Brunetta.

Altra interrogazione è in arrivo dal M5S. “Assurdo che, mentre in Italia succede di tutto, la Rai trovi il tempo di dedicare a Renzi quasi mezz’ora di diretta. Vorrei vedere quanto tempo Rainews ha dedicato al caso Consip-Lotti. Di Bella ha fatto a Renzi un grande spot politico e anche pubblicità gratuita al suo libro”, afferma Alberto Airola, senatore 5stelle, noto per i suoi attacchi decisi in Vigilanza ai vertici di Viale Mazzini.

In studio a Saxa Rubra giovedì, proprio per commentare l’intervista, c’era anche il politologo Gianfranco Pasquino. “Concedere tutto quel tempo mi è parso eccessivo, fossi negli altri leader ora pretenderei lo stesso spazio. Ma a lasciarmi sconvolto sono state le ‘non domande’di Di Bella. Renzi ha detto delle castronerie su cui andava interrotto e incalzato”, racconta Pasquino. “Come, ad esempio, affermare di aver perso il referendum per l’eccessiva personalizzazione. Non è vero: gli italiani hanno bocciato nel merito le sue riforme”. Forse per paura di essere fischiato, il segretario del Pd al centro commerciale si è portato anche la claque.

IN UNA TRIBUNETTA speciale, infatti, sedevano Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Ernesto Carbone e Michela De Biase, la capogruppo dem in Campidoglio nonché moglie di Dario Franceschini. Mentre una parte del pubblico presente era il frutto del lavoro di mobilitazione di Patrizia Prestipino, la donna in rosso che si fece notare sulla terrazza del Nazareno la sera dell’ultimo trionfo alle primarie. “L’esperimento di andare in una libreria periferica poteva essere interessante, ma tutto doveva essere più spontaneo, interagendo col pubblico. Invece Renzi si è portato i suoi, replicando in periferia la direzione del Pd. E Di Bella si è limitato al ruolo di portamicrofono”, nota Carlo Freccero, membro del Cda Rai.

ALLA LUCE di questo episodio, al prossimo consiglio riproporrà la questione Gabanelli. “Il nuovo portale web deve partire subito. La mia idea è che venga nominata condirettore proprio di Rainews, con delega al digitale”. Franco Siddi, altro membro del Cda, è più cauto. “Non ho visto la trasmissione, ma Rainews, proprio per la caratteristica di canale informativo su 24 ore, è normale che faccia dirette di ogni tipo, specialmente sul fronte politico, sempre nel quadro del rispetto del pluralismo e della completezza dell’informazione”, sostiene.

Gli ascolti di Rainews, intanto, nonostante i vari cambi di direzione (l’attuale presidente Monica Maggioni è una ex), continuano a essere bassi (anche se più alti di Sky), con una media giornaliera dello 0,6-0,7%. L’intervista di Renzi è andata in onda dalle 18.35 alle 19: la media di quell’ora è dello 0,3%, Renzi ha fatto lo 0,4%. “L’invasività di Renzi sulla Rai l’abbiamo ben vista in questi anni, a partire dal periodo del referendum. Ormai siamo alla lottizzazione da parte delle correnti del Pd. Curioso che tutto ciò accada da parte di un signore che si era presentato dicendo: fuori i partiti dalla Rai”, osserva Miguel Gotor, Mdp, anche lui in Vigilanza. Che per il futuro non si fa troppe illusioni. “Il nuovo dg Orfeo è lì per garantire una campagna elettorale tranquilla al Pd. Il problema per Renzi è che questo leopoldismo televisivo ormai per lui è sempre più controproducente”.


Stop ad autovelox nascosti: ecco le nuove direttive

$
0
0

La nuova direttiva del ministero dell’Interno vieta gli autovelox nascosti. Inoltre, soltanto la polizia potrà usare i tutor e solo con appositi cartelli di preavviso

Innanzitutto, i tutor non potranno tenere sotto controllo un tratto di strada inferiore ai 500 metri. I dispositivi per la rilevazione della velocità dovranno essere sottoposti ogni anno a taratura per verificarne il buon funzionamento e, in ogni caso, potranno essere impiegati soltanto dalle forze di polizia e non da tecnici privati.

Introdotto anche l’obbligo di una corretta cartellonistica per segnalarne la presenza: ciò varrà per i controlli di velocità bidirezionali. Vietati i cartelli che avvertono della presenza di controlli, senza l’installazione di una strumentazione nei paraggi.

Importanti novità anche sul fronte della privacy: il fotogramma dell’infrazione non potrà essere conservato e inviato a casa del trasgressore. E già nello scatto, il volto dell’automobilista colto sul fatto dovrà essere oscurato in automatico.

Banditi tutti i dispositivi, autovelox o sistemi con puntamento a laser, non ben visibili agli automobilisti. Agenti e strumenti non potranno più nascondersi dietro a cartelloni o cespugli per cogliere di sorpresa chi è al volante.


Le sagre più bizzarre d’Italia: dalla panonta alla fiera della patacca e passerina

$
0
0

(di Antonio Acerbis – lanotiziagiornale.it) – Immaginate una bella pagnotta di pane, unta di olio e tagliata a strati a mo’ di torta con peperoni, salsicce e frittata. Piatto invernale (oltreché ipercalorico), si penserà. E invece no. Perché in un paese vicino Isernia – Miranda – si aspetta con trepidazione e un certo languorino l’ultima domenica di agosto per salire sulla montagna del paese e tagliare, in una mega scampagnata paesana, la pagnotta a fette, tra canti e fuochi d’artificio. È, questo, solo uno dei tanti appuntamenti culinari, conosciuti e non, che riserva l’estate in giro per l’Italia. Perché se c’è una cosa che distingue il nostro Paese, è che, come direbbe anche Renzo Arbore in una sua nota canzone, “a nuje ce piace magnà”. E allora via con le sagre. Le più bislacche e bizzarre, da Nord a Sud. Dalla carne al pesce ai primi. Fino alle combinazioni più disparate.

Pesce e carne – Andiamo in Umbria, ad esempio.  A Villanova, in provincia di Perugia, si può gustare, dall’11 agosto, frutta e carne a volontà alla sagra della Macedonia e Agnello scottadito. Ma se si preferisce il prodotto ittico, basta spostarsi di poco e andare a Beroide, dal 4 agosto, per la sagra dell’Anguilla e del Gambero di fiume. E se invece si predilige qualcosa di più campestre, meglio optare per la festa della Scartocciatura a San Martino in Campo (dal 25 agosto), la festa dedicata appunto alla “scartocciatura” delle pannocchie. Se si vuole invece andare di tradizione, ecco la fojata a Sellano, un’antica torta salata arrotolata su se stessa. Nel Lazio, invece, si preferisce andare di primi piatti. E così, tra una miriade di sagre della polenta e sagre degli gnocchi, si può andare anche su qualcosa di più particolare. Come il “fregnaccio”, piatto tipico di Anguillara Sabazia (29 e 30 luglio), per non parlare dell’appuntamento a Villa Santo Stefano, con la sagra dei cecapreti e bufaletta. Se invece si preferisce un bel primo piatto di pesce, basta andare a Fiumicino per la “Spaghettongola”, simpatica e gustosa crasi che sta per gli spaghetti alle vongole. Ma non è finita. Perché se si ha voglia di qualcosa di più “piccante”, conviene andare a Serrone (Frosinone) per la “sagra della patacca e della passerina”. No, non si pensi male: la patacca è una tagliatella, mentre la passerina è un vino bianco secco… cosa avevate capito?

Ortaggi a volontà – Ma, ovviamente, anche nelle altre Regioni d’Italia il cibo è sacro. E allora di sagre se ne contano in ogni salsa. Chi proprio non può fare a meno della carne, può sempre andare nelle Marche, a Serra San Quirico, per la 51esima sagra del coniglio in porchetta. Ma c’è anche la festa specifica per gli amanti del pomodoro. Bisogna andare nel Bresciano, con la “sagra del pondor”. Tante degustazioni, tanto divertimento e una gara che ha il suo perché: vince chi consegna alla giuria il pomodoro più grande, con tanto di scettro e corona al vincitore. A Firenze, invece, si va di melanzana, mentre in Romagna la prossima settimana tutti alla “aagra della Canapa alimentare” di Madonna Boschi. E per chiudere andiamo a Palazzolo, in Sicilia. Non ci sarà Milly Carlucci, ma ci sarà da divertirsi a “Melonando sotto le stelle”.


Caserta: Francesca Pia Palmieri e Vincenzo Chianese Campioni Italiani di danze Standard 2017

$
0
0

FRANCESCA PIA PALMIERI  E VINCENZO CHIANESE CAMPIONI ITALIANI 2017 NELLE DANZE STANDARD  E NELLA COMBINATA DIECI BALLI. I GIOVANI PLURICAMPIONI CASERTANI CONQUISTANO LA PLATEA A RIMINI.

Caserta – Campioni Italiani di danze Standard 2017 categoria 19/34 e Assoluti under 21, campioni Italiani dieci balli under 21, finalisti  negli amatori danze latine. Ancora una volta loro, l’ennesima, Francesca Pia Palmieri  e Vincenzo Chianese. Un tris da brividi, come non era mai accaduto. Lei di Aversa, lui di Parete, appartengono alla scuola di ballo casertana “Dreaming Dance Chianese” dei maestri Nicola e Assunta Chianese che da tempo danno lustro a Caserta facendo crescere campioni nella Danza Sportiva. Sul podio di Rimini un’esplosione di gioia, sguardi sorridenti e increduli si incrociano, i corpi dei ballerini si avvicinano per un abbraccio a sancire la passione e le emozioni che si celano dietro alla premiazione. “Un ringraziamento va ai nostri coach, e a tutti i nostri insegnanti, ai genitori, i nostri sponsor e tutte le persone che ci hanno supportato durante questi campionati.” Questo il commento a caldo dei due giovani atleti che da anni non smettono di stupire il pubblico e gli addetti ai lavori del mondo della Danza Sportiva. Ballano insieme da  13 anni, sono pluricampioni Italiani nelle categorie B e A Standard e Latini. Già campioni lo scorso anno nella disciplina 10 balli “Standard e Latini”. Sono stati finalisti vincitori di varie competizioni internazionali, Europei e Mondiali. Nel salone del C.O.N.I . a Roma sono stati premiati dal presidente Giovanni Malagò.  Parteciperanno a novembre ai mondiali 10 balli, standard e latini, di cui sono vice campioni in carica, in Slovenia.  Dopo questi risultati sono ancora più determinati nel raggiungere nuovi obiettivi, tanta voglia di vincere e migliorarsi, il sogno rimane quello di partecipare alle future olimpiadi. La manifestazione è stata organizzata dalla F.I.D.S. (Federazione Italiana Danza Sportive) e dal Coni ed ha visto la partecipazione di migliaia di coppie da tutta Italia. E’ diventata in pochi anni il più grande evento della Danza Sportiva al mondo. Quest’anno è stato festeggiato il decennale di  “SporDance” questa straordinaria manifestazione sportiva, il più grande Festival della danza sportiva al mondo. Infatti,  oltre ai Campionati italiani di danza sportiva per tutte le categorie e in tutte le discipline, si sono svolte a Rimini prestigiose competizioni mondiali di ballo. Quasi 300mila presenze, oltre 35 mila ballerini provenienti da 42 nazioni. Dati che fanno ben capire lo spessore dei campionati e rendono ancora più prestigioso il trionfo dei due atleti casertani Francesca Pia Palmieri  e Vincenzo Chianese.



“Due pm e due misure”: di Marco Travaglio

$
0
0

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Ingenui come siamo, ci eravamo fatti l’idea che i pm non potessero parlare dei loro processi né interferire nel lavoro dei giudici. Infatti ieri abbiamo letto con sgomento l’Intervista Unica della Procura Unica al Giornalone Unico sulla (anzi, contro la) sentenza sull’ex Mafia Capitale. E ci siamo detti: oddio, adesso il Pg della Cassazione o il ministro Orlando eserciteranno l’azione disciplinare contro i vertici della Procura di Roma, il Csm aprirà una pratica per trasferirli d’ufficio e un’altra a tutela della X sezione del Tribunale capitolino ingiustamente attaccata dalla pubblica accusa, e i politici di ogni colore intimeranno ai pm di parlare solo con gli atti, perché le sentenze non si commentano, semmai si appellano. Invece niente di tutto questo: silenzio di tomba. E abbiamo tirato un sospiro di sollievo: stavolta si è deciso che i pm, com’è giusto, abbiano il diritto di difendere pubblicamente le proprie ragioni e financo criticare una sentenza che boccia la loro tesi accusatoria sulla mafiosità della banda di Buzzi, Carminati & C.. Il procuratore Giuseppe Pignatone si è magnanimamente concesso ai due quotidiani maggiori, Corriere e Repubblica (però, onde evitare il ne bis in idem, al primo ha detto “non mi sento sconfitto” e al secondo “ho perso”), delegando il compito di soddisfare il terzo classificato, La Stampa, all’aggiunto Michele Prestipino (che non ha precisato se abbia vinto o perso: forse ha pareggiato) – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 23 luglio 2017, dal titolo “Due pm e due misure”.

I due alti magistrati ribadiscono che a Roma le mafie esistono (ma il Tribunale non s’è sognato di affermare il contrario: ha detto solo che non sono mafiosi gli imputati che la Procura gli ha portato in aula) e lasciano intendere che i giudici non sono riusciti a cogliere la loro avveniristica finezza giuridica, ma pazienza, andrà meglio in appello. Ora, la nostra preoccupazione per i pm parlanti nasceva da alcuni precedenti inquietanti. Nel 2012 il pm di Palermo Nino Di Matteo spiegò a Repubblica perché, Codice alla mano, le intercettazioni fra l’ex ministro Mancino e l’allora presidente Napolitano (sul telefono del primo, indagato per falsa testimonianza nel processo Trattativa), erano perfettamente legittime, e finì su due piedi sotto procedimento disciplinare al Csm per aver parlato della sua inchiesta (ad attivare il Pg della Cassazione era stato il Quirinale). Lo stesso anno l’allora Pg nisseno Roberto Scarpinato lesse, nell’anniversario di via d’Amelio, una lettera aperta a Paolo Borsellino sull’ipocrisia di certe autorità che osavano indegnamente commemorarlo e finì ipso facto nel mirino del Csm per la solita azione disciplinare, pur non avendo parlato di sue indagini.

Nel 2014 il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, lette le scombiccherate motivazioni della sentenza che assolveva gli ex-Ros Mori e Obinu per la mancata cattura di Provenzano, commentò amaro: “Se fossi un insegnante, metterei alla sentenza un 4 meno, perché chi l’ha scritta è andato fuori tema. Insomma, ha scritto la sentenza di un altro processo”: processo disciplinare anche per lui, per aver parlato di un suo processo e leso l’autonomia del Tribunale che dava torto alla Procura. Due mesi fa Repubblica mise in pagina una chiacchierata informale e non autorizzata con Henry John Woodcock sugli errori del capitano Scafarto del Noe nell’informativa sul caso Consip, che lui riteneva sbagli in buona fede e negava di avere commissionato: il pm fu subito accusato dal Pg della Cassazione di interferire nelle indagini romane su Scafarto e deferito disciplinarmente al Csm, che – già che c’era – aprì pure una pratica per trasferirlo per incompatibilità ambientale, anche se parlava di un’inchiesta non più sua. Dunque oggi – se la legge è uguale per tutti – ci sarebbe da attendersi un eguale trattamento per Pignatone e Prestipino. Ma non è accaduto e non accadrà. E nessuno ne è più felice di noi, che abbiamo sempre sostenuto il diritto-dovere dei magistrati di parlare, di difendersi da accuse e calunnie e spiegare ai cittadini le loro indagini (e quali, se no?). Specie oggi che il Csm, da difensore istituzionale dell’indipendenza dei magistrati da ogni altro potere, è sempre più spesso un plotone d’esecuzione per minare l’indipendenza dei migliori magistrati per conto di ogni altro potere.

Solo, ci piacerebbe saperne di più sui criteri seguiti da Pg e Csm in materia di libertà di parola. Perché Teresi, Di Matteo, Scarpinato e Woodcock non possono aprir bocca, né sui loro processi né su altro, e Pignatone e Prestipino possono tranquillamente dare interviste su un loro processo e criticare i giudici che non fotocopiano le loro accuse? Dipende da chi parla, o da quello che dice? La stessa domanda sorge spontanea quando certe fughe di notizie portano alla perquisizione e al sequestro dei telefonini di pm, giornalisti e loro familiari, e altre no. Quando certe Procure rivelano di aver iscritto Tizio nel registro degli indagati e non succede niente, mentre se lo fanno altre si scatena il finimondo. Quando certi giudici vengono massacrati perché sposano le tesi dei pm e altri perché le respingono. Quando gli errori di certi investigatori (il Noe su Consip) sono reati gravissimi e quelli di altri (il Ros sull’ex Mafia Capitale) solo sviste in buona fede. Dipende dal pm, o dallo status sociale dell’imputato, o dal suo colore politico, o da quello della sua pelle?

Ci sono pm che han ragione a prescindere, anche se smentiti dal Tribunale, e altri che han torto a prescindere, anche se confermati fino in Cassazione? Nel caso, sarebbe utile un bell’elenco dei pm infallibili e degli imputati intoccabili. Così, tanto per dissipare una volta per tutte quella brutta fake news che ancora circola in Italia, secondo cui la legge è uguale per tutti e tutti sono uguali davanti alla legge.

Articolo intero su Il Fatto Quotidiano in edicola oggi.


L’Agcom si muove: ora vuole diventare lo sceriffo di internet

$
0
0

DOPO IL DIBATTITO SULLE “FAKE NEWS” – GRAZIE A UNA NORMA DEM, L’AUTORITÀ DELLE COMUNICAZIONI SARÀ GIURIA, GIUDICE E BOIA PER IL DIRITTO D’AUTORE ONLINE

(di Virginia Della Sala – il fatto quotidiano) – L’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, chiede, e la politica risponde. Lo fa con un emendamento del Pd, approvato alla Camera, che le affida il potere di ordinare – al posto dell’autorità giudiziaria – la rimozione dei contenuti dal web in caso di sospetta violazione del diritto d’autore. L’obiettivo, dichiarato, è permetterle di espandere il suo controllo anche all’online, uscendo dalla sempre più stretta dimensione della par condicio televisiva.

Qualche mese fa la proposta di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, di assegnare a un’autorità statale il controllo delle bufale che circolano sul web aveva generato dibattiti e dissenso. A febbraio, la proposta di legge contro le fake news presentata da Ala si era dissolta nella sua stessa assurdità. Il tentativo di imbavagliare il web, stravolgendo la legge sul cyberbullismo, era fallito miseramente. Invece, è passata sotto traccia la dichiarazione (11 luglio 2017) del presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani, che suggerisce l’introduzione di una legge per controllare le bufale sul web. “Servono – ha detto – nuove capacità e nuove tutele su cyberbullismo, fake news ed hate speech: sono le sfide che l’Autorità è chiamata ad assumere con l’aiuto del legislatore, invitato a conferire con urgenza ad Agcom le competenze necessarie ad affrontare le nuove garanzie nelle comunicazioni nell’ecosistema digitale”. Ha parlato di un “mondo della comunicazione cambiato”, diventato “rete”. Ma soprattutto ha sottolineato il bisogno che il legislatore dia ad Agcom “gli strumenti” per affrontarlo. E il legislatore è arrivato.

L’emendamento.È stato presentato il 19 luglio e approvato alla Camera il giorno dopo in un provvedimento che serve ufficialmente per recepire le direttive europee, ufficiosamente per evitare procedure d’infrazione Ue. La prima firma è del deputato orlandiano Davide Baruffi. Si parla di diritto d’autore: “L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – si legge – su istanza dei titolari dei diritti, può ordinare in via cautelare ai prestatori di servizi della società dell’informazione di porre fine immediatamente alle violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi, qualora risultino manifeste sulla base di un sommario apprezzamento dei fatti e sussista la minaccia di un pregiudizio imminente e irreparabile per i titolari dei diritti. L’Autorità disciplina con proprio regolamento le modalità (…) e individua le misure idonee volte ad impedire la reiterazione di violazioni ”. La norma, firmata anche dal renziano Sergio Boccadutri, in pratica assegna all’Agcom il compito di intervenire in modo preventivo sui casi di presunta violazione di diritto d’autore online chiedendo alle piattaforme di rimuovere i contenuti (dai file audiovisivi ai contenuti editoriali). E lo fa richiamandosi all’attuazione di alcune direttive europee. Le stesse direttive europee, però, assegnano questa prerogativa all’autorità giudiziaria. L’articolo 9 della direttiva 2004/ 48/CE parla espressamente di “competenti autorità giudiziarie”: devono insomma essere i giudici a prevedere se esista o meno violazione del diritto d’autore.

Lo scontro. È anche vero che in Italia, sul diritto d’autore online, c’è uno scontro antico: da un lato le associazioni di provider indipendenti e in difesa dei consumatori (come Assoprovider, Assintel e Altroconsumo), dall’altra la stessa Agcom che, nel 2015, ha emesso un Regolamento per contrastare la pirateria online e quella che viene definita “violazione massiva del Copyright”. In mezzo la Consulta (che ha tenuto in piedi le norme), poi il Tar del Lazio che ha confermato la validità del Regolamento e infine un ricorso al Consiglio di Stato.

L’Agcom, ora, cerca uno strumento legislativo che legittimi ulteriormente il suo ruolo. “In Italia – spiega l’avvocato Fulvio Sarzana che per primo si è accorto dell’emendamento e che è anche il legale che difende Altroconsumo – il diritto d’autore è molto stringente. Non ci sono le stesse tutele riservate, come ad esempio in America, al fair use, ovvero alla legittimità dell’utilizzo di un’opera senza scopo di lucro”. I primi a protestare sono stati i provider indipendenti (Assoprovider): “La norma – spiegano – conferisce all’Agcom il potere di cancellare siti web, blog e forum. E di farlo su richiesta delle grandi multinazionali dei contenuti”.


La feroce educazione sessuale in un paesino del Sud

$
0
0

Omosessualità, pedofilia, zoofilia, adulterio, misure, pornografia. Il lato sud del sesso con tutti i suoi lati insoliti e bizzarri. E niente perbenismo cattolico

(di Bruno Giurato – linkiesta.it) – Uno dei capitoli più singolari della “questione meridionale” (credevate di scamparvela, e invece no, non è mai finita, la questione meridionale è viva e lotta insieme a noi) è quello relativo a Sud e sesso. Per molti il Sud è un luogo esagerato ormonalmente/ disagiato sessualmente, dove vige una amara cappa di perbenismo cattolico-meridionale. Una propaggine in terra italiana del mondo del burqa, un posto in cui l’oppressione patriarcale si manifesta in sensi di colpa, nascondimenti a cosce strette, due santi sposi che vanno a letto con la camicia da notte col buco, un esercito di padri Restrepo lì pronti a intercettare e sanzionare ogni palpito meno che casto. Non parliamo poi di omofobia.

Si tratta ovviamente di stereotipi (= cazzate pigre), proiezioni (=cazzate presuntuose) e orientalismi (= cazzate culturalmente narcisiste) che gli antropologi hanno da tempo fatto a pezzi, per esempio evidenziando che nella cultura popolare (del Sud e del Nord) la sessualità è molto più libera di quanto avvenga nella cultura borghese (del Nord e del Sud). Che alcuni scrittori hanno smontato più sottilmente, con la forza delle loro narrazioni. Che l’umile cronista si accontenta di nuancer sulla base di un pugno di storie passate da un bar della Locride. Debunkate, con cura, e con qualche nome cambiato per necessità e discrezione.

MISURE

Conventi è strutturato come il Pugatorio: una collina con una strada che sale su a spirale fino alla porta medievale del paese. A fianco della strada c’è un muro in calcestruzzo fatto all’epoca di Mussolini, la cui larghezza è stata accuratamente misurata dal cronista: 28, 7 centimetri. Allo scopo di determinare la lunghezza del pene (a riposo) del signor Cutrupi.
Testimoni oculari raccontano che quando il signor Cutrupi urinava appoggiando il pene sul bordo del muretto, riusciva con la sua lunghezza a superarne la larghezza. E ci sono aneddoti che l’accurato cronista ha verificato, non si trattasse di leggende metropolitane. Un pomeriggio d’estate al bar di Pasquale, il signor Cutrupi disse a Paolo: “guarda che c’è qua”, e aveva il pene legato alla coscia con una cordicella. Guardando uno spettacolo di spogliarello, con altri uomini del paese, il signor Cutrupi si era messo il cappello sul pene. Dopo poco i presenti nella stanza notarono il copricapo che si muoveva e levitava nell’aria.
Il pene del signor Cutrupi per decenni è stata una delle fonti di divertimento del paese. Non pettegolezzo ma esplicita comicità. Ne parlavano vecchi, donne, e i bambini che si aggiravano a frotte per il paese, scalzi, sveglissimi, sboccatissimi chiedendo soldi a chiunque arrivasse in macchina, giocando con frusta e trottola. Bastava fermarne uno di cinque anni prendendolo per il collo e gli chiedergli: “che gli fai tu alle donne?” Risposta: “‘nciu mentu ‘nto picciuni”, “glielo metto nella f…”. Sul pene del signor Cutrupi sono state composte canzoncine e filastrocche. Il pene del signor Cutrupi è un elemento essenziale dell’immaginario sessuale di Conventi.

OMOSESSUALITÀ

Piazza del paese, sette di sera di un venerdì dell’era pre smartphone. Passeggio. Struscio. Gruppo di liceali ambosessi sulle panchine. Arriva lui Antonio, si struscia contro un ragazzo, gli mette le mani sul pacco. Il tipo si ritrae, e lui Antonio si gira verso la compagnia: “Non voli u futti, è ricchjiuni”. Non vuole fottere è frocio. Vale a dire: si irrigidisce se gli si fanno avances, quindi è un criptogay. Chi non voleva essere considerato omosessuale doveva farsi toccare tranquillamente, e ricambiare.

PEDOFILIA

A Ferroni c’era un professore di scuole medie che, si diceva, avesse tentato approcci con qualcuno degli allievi. All’ora del caffè un gruppo di ragazzi nervosi che passavano la giornata hanging around tra bar e piazza lo vedono passare in giacca e cravatta. Nessuno in giro. Gli vanno dietro, gli camminano a un centimetro, lui impassibile. Cominciano a urlargli dietro facendo una vocina a sfottò “RICCHIUNI RICCHIUNI RICCHIUNI”. Lui resta impassibile. Cammina. Prendono un ramo di palma. Mentre cammina glielo spingono in mezzo alle gambe da dietro urlando: “RICCHIUNI RICCHIUNI RICCHIUNI”. Lui prova a rispondere: “come si permette la denuncio” e loro imperterriti, continui, palma e urlo: “RICCHIUNI RICCHIUNI RICCHIUNI”. Caldo da contr’ora. Corso deserto.

PORNOGRAFIA E SANITÀ PUBBLICA

Ospedale di Locri. Una giovane puerpera è ricoverata in chirurgia, perché in ginecologia i letti sono tutti occupati. Nella stessa stanza donne di San Luca. La giovane puerpera non riesce mai, nemmeno una volta, a cenare con la minestrina/mela/prosciutto dell’ospedale. Le signore santolucote ogni giorno per pranzo si fanno portare da mariti, zie, nonne, parenti vari: pasta al forno, capretto in umido e arrosto, polpette di melanzane, soppressate e pane di casa, pezze di pecorino, bottiglie di vino. Fanno il caffè sul fornelletto da campeggio. Il cibo di San Luca, non si sa per quale oscuro motivo, è straordinariamente buono. Tutto. Sempre. Resistere ai “favorite” è ovviamente inutile. Si è tanto circondati di sollecitudine che si mangia e basta. Un dì, dopo il ricco pranzo, una delle signore tira fuori una rivista. La giovane puerpera rimane sorpresa nel constatare che si tratta di un giornaletto porno. “Ma come signora leggete queste cose?”. “Eh sapete c’è sempre da imparare”. In più le signore si divertono molto a parlare di cose hard, ma (come avviene nella profonda cultura agro-pastorale) solo in metafora. Es: “Tutt’e jorna eu facia u brodu, e u maritu meu calava a pasta”, “Tutti i giorni facevo il brodo e mio marito calava la pasta”. Finché dopo vari giorni una di loro dice all’altra “On a hiniti mu parrati e si cosi ca cca ndavi na’ figghiola”, “Finitela di parlare di queste cose, qui c’è una ragazzina”, e l’altra: “see chista sgravau, oramai u hurnu è fattu” . Sii, ormai ha partorito. Il forno è fatto.

PRIMA NOTTE DI NOZZE

Carmelina non voleva sposarsi. O magari anche sì, ma non gli andava giù quella cosa lì, che un uomo si prendesse certe libertà, che disponesse del suo corpo. No. E il marito glie l’avevano trovato pure, e pure un buon uomo e pure bello, e quindi ci fu il matrimonio col vestito, i testimoni e il ragù (gli anni 50 qui equivalevano al medioevo alimentare, si mettevano in padella i topi di campagna, c’era chi lo aveva mangiato una vota nella vita il ragù), ci fu il matrimonio e ci fu la prima notte di nozze. Niente. Lei non voleva. Il marito gentile gentile, e disperato disperato. La seconda notte di nozze. Niente. Il marito sempre più disperato. Alla terza andò dalla madre di lei, che -poche storie- impose alla figlia di starci. Ora lei, che ha avuto quattro figli ed è bisnonna, la racconta ridendo, le manca tutta la fila di sotto dei denti davanti e ride, ride ride.

PRIMA NOTTE DI NOZZE (alternative take)

Rosaria si sposa e la sua prima notte di nozze la ricordano tutti in paese. In un paese di base l’intimità non esisteva, si dormiva spesso in quattro su un pagliericcio, ogni buco era abitato, se non altro da asini il cui respiro era la muzak dei ritorni a casa notturni, c’era una generale atmosfera di vicinanza e ammucchiamento con le case che si tenevano l’una all’altra e muri divisori improvvisati. Della prima notte di nozze di Rosaria tutti sapevano tutto. Lei strillava di gioia “Suli meu!” “Sole mio” al fresco marito. E a lui rimase il soprannome. “Suli meu”. Tutti lo chiamavano così, senza più nemmeno ironia: “suli meu”. Arrivau u suli meu.

PROSTITUZIONE RURALE (E NO)

Che in ambito della civiltà rurale la prostituzione fosse diffusa (quelli della civiltà pastorale pare se la sbrigassero con le pecore e le capre, il cronista ha sentito discorsi di agnellini che uscivano sanguinanti da incontri coi pastori) è un dato antropologico noto. Esistevano dei centri in cui la pratica pare fosse molto diffusa. Ma era un uso random frequentissimo dappertutto, non solo al Sud. Una scopata in cambio di un’otre di olio, o un boccaccio di olive, o di una tumulata di grano. Poi, all’arrivo di un po’ di benessere, con la scomparsa della fame, la scomparsa della prostituzione. Si diceva di signore piccoloborghesi che frequentavano case in altri paesi, ma nessun vero e proprio “sistema prostitutivo”. Anche perché il tipo di mafia presente nel territorio teneva al ruolo sociale di buoncostume (i traffici veri stavano ovviamente da un’altra parte).
Almeno fino all’arrivo nella Locride delle Nigeriane, che poi magari erano anche congolesi, gibutine, capoverdine e chissà. A un certo momento il cronista ha ricevuto un messaggio da un paese in cui le prime nigeriane (o capoverdine o quel che è) erano state accolte in una casa vuota. “CCa è chiunu i costraschiuni chi lapunìjanu”. Traduzione laboriosa, qualcosa come: “qui è pieno di ragazzi sfaccendati e aggressivi che girano intorno come grosse api”.
Dalla prostituzione rurale alla prostituzione urbana.
Per strada o in appartamenti sulla costa che poi vengono affittati per l’estate, quelli coi divani economici e già subito sfregiati, e con le tovaglie di kasanova, e i piatti cinesi con motivi a fiori. Le trovi di giorno più che di notte. Dai un passaggio in macchina. Prendi un numero di telefono.

STREGA

Maria voleva sposarsi. Solo che quando aveva dodici anni capitò nelle mani dell’arciprete, che dopo lo stupro se la tenne come amante per qualche tempo. La faccenda era naturalmente nota e Maria non trovò mai un marito. Più avanti ebbe diverse relazioni con diversi uomini, senza mai sposarsi, e diversi figli a cui diede il suo cognome,la possibilità di studiare e di “sistemarsi” (“tutti sistemati ngrazia e ddiu” dice), tutto coi guadagni forniti dalla sua professione. Levatrice, ma più che altro fattucchiera. Togliere il malocchio (“sciumicare”), preparare filtri, dare consigli sul dedalo di rituali che dirigevano la vita in un paese antico: dalla formula per capire il giorno di San Giovanni se la ragazza si sarebbe sposata o no, a cosa fare in caso di mal d’orecchie. Levatrice, medichessa, e strega. Voce prestigiosa ai canti in chiesa del Venerdì Santo.

STREGONE

Viveva sulla riva dell’Amusa (fiumara nei dintorni di Caulonia) un mago solitario. Esorcista, guaritore. Arrivarono a lui donne di una contrada vicina per essere guarite, lui le aveva ammonite di portare con sé molte fascine secche. Al loro arrivo prende qualche fascina, accende un focherello e le fa spogliare nude come mamma l’ha fatte, poi gli fa saltare il fuoco, da una parte all’altra. Saltando si bruciano (“come ghiri” raccontano le donne che riferiscono gli avvenimenti, i ghiri devono essere abbrustoliti per eliminare le radici del pelo, prima della cottura) e si procurano vesciche. Saputo ciò che era successo – ma cosa era successo? Qualcuno sostiene che il mago avesse tentato approcci con qualcuna delle donne- i loro uomini andarono dal mago e lo “faccettiàrono”. Lo fecero a pezzi con la scure.

SVANIRE

La fatica di incontrarsi senza che nessuno lo sappia. Tutti conoscono i movimenti di tutti. Comunicare senza che se ne accorgano è difficile. Andare in un posto senza che nessuno (nessuno che conosci, vale a dire nessuno tout court) ti veda è quasi impossibile. Quasi. Memorizzare il numero sul contatto di un amico e attenzione a non sbagliare. A scanso di tutto non usare whatsapp. Poi che c’è da dire su whatsapp? Siete tutti e due solidamente impegnati, si tratta solo di prendere appuntamenti, col problema che la Calabria è un posto dall’esistenza residuale, e quindi può benissimo capitare che tu ci sia e l’altro/a non ci sia in quei giorni. E quindi non si sa. E bisogna sparire. Non usare la macchina anche se ci si incontra di notte. L’automobile mette in moto qualcosa di cognitivamente notevole, ti riconoscono subito, anche a distanza anche al buio, anche se hai una punto grigia come ce l’hanno tutti. Una volta hai cambiato macchina e la gente in strada in pieno giorno non ti salutava: non ti riconosceva. Quindi uscire a mezzanotte, camminare, direttamente per i campi, basta che non sia stagione di caccia ai ghiri o ci si può trovare impallinati e scoperti. Non usare una torcia, o quelli del casale a fianco già nervosi causa ladri vedono e tirano fuori il calibro e impallinati e scoperti. Raggiungere il posto, magari due chilometri in mezzo ai campi, in salita. Inciampare. Spine alle caviglie. Silenzio dopo le bestemmie. Bella la luna. Avere già trovato un casale dove di sicuro non spunta una pecora, o un mandriano anche lui col calibro: impallinati e scoperti. Trovarsi. Non avere un letto. Paglia. Non vedersi, perché la torcia non si può usare. Non spogliarsi: poi cercare un calzino in un pagliaio di notte è più difficile che trovarci un ago di giorno. Tornare prima dell’alba, verso le tre, il “chiò” dei gufi. Il “cra” delle rane, il “cri” dei grilli. Fare la doccia in giardino, gelata, con l’aurora delle dita di rosa. Bello. Accendersi una Marlboro, nudo sulla sdraio. Bel bello. Tornare in camera da letto in cerca di biancheria. E la voce di tua madre: “Ancora con questa storia? Sono cinque anni! È a vota bbona chi finisci impallinato e scoperto”. E lo sguardo di tua madre. E tu lì. Una mano davanti, e una di dietro.


Le Endorfine: il nuovo collettivo pronto ad invadere il web con i suoi video

$
0
0

Le Endorfine hanno fatto la loro comparsa ufficiale su Facebook il 13 luglio, con l’omonima pagina che accoglierà i loro video e le loro iniziative a carattere virale. L’idea nasce da quattro amici, quattro professionisti, tre attori (Antonio Parascandolo, Margherita Romeo, Dario Tucci) ed Emanuela Esposito che si occupa di grafica e di scrittura. Amano ciò che fanno e decidono di intraprendere una strada che unisca le passioni di tutti alla nuova moda indetta dai social. Il gruppo si completa con la presenza di Riccardo Marchese – regista – che, insieme a Claudia Fiorentino – aiuto regia – chiude la formazione ultima de “Le Endorfine”. Il battesimo è avvenuto con “Amplessi Complessi”, il primo video lanciato per intero il 21 Luglio, prima del quale sono stati postati sui canali social due piccoli estratti, sotto il nome di “EndorSfighe”. Ogni lunedì e ogni venerdì verranno rese pubbliche singole clip diffuse su Facebook, Instagram e Youtube.

Il collettivo, che sulla piattaforma Facebook ha già riscosso un discreto successo, ha raccolto oltre 5.700 visualizzazioni del video completo in meno di due giorni.

L’argomento scelto è quello delle disavventure sessuali di un lui e di una lei, guardate con occhio ironico e leggero, in un racconto a specchio che unisce il registro cinematografico a quello più veloce e immediato del web.

 

Loro stessi si presentano su Facebook così:

 

Chi siamo, vi chiederete. Piacere, Le Endorfine.

“Le endorfine sono presenti nei tessuti degli animali superiori e vengono rilasciate in particolari condizioni e in occasione di particolari attività fisiche estenuanti. Anche una forte emozione rilascia endorfine, così come l’ingestione di certi cibi”.

Se vi ritenete animali superiori ma non vi piace lo sport, l’attività fisica di altra natura appare un miraggio nonostante l’ormone in versione summer edition e non mangiate cioccolata per paura di essere fulminati dalla vostra coscienza “light”, siete sulla pagina giusta.

La compensazione arriva sul web, quindi spalancate gli occhi, aprite le orecchie e seguiteci. I video delle Endorfine stanno arrivando.

 

LE ENDORFINE

 

regia, direzione della fotografia, montaggio RICCARDO MARCHESE | aiuto regia, assistente sul set CLAUDIA FIORENTINO | scenografia, grafica, testi EMANUELA ESPOSITO | con ANTONIO PARASCANDOLO, MARGHERITA ROMEO, DARIO TUCCI

 

Presentano

“AMPLESSI COMPLESSI”

 

Hanno partecipato MARIO AUTIERO, LUCA BANANA, MICHELE CAPONE, FEDERICA CATALANO, ALESSIA ESPOSITO, GIUSEPPE FISCARIELLO, PAOLO GENTILE, MARIA LAEZZA, RITA RUSSO, LUIGI SHIKA, ANGELA TAMBURRINO

 

Facebook: https://www.facebook.com/leendorfine

Instagram: leendorfine

Youtube: le endorfine/amplessi complessi – https://www.youtube.com/channel/UCKhWi4KarhxAjiZViS2Z1Bw

 

Gabriella Galbiati


Guardia Sanframondi: Valdemaras Semeska nella Casa di Bacco

$
0
0

Il maestro d’arte e musicista lituano Valdemaras Semeska presenta al pubblico sannita le sue opere presso la Casa di Bacco in piazza Castello a Guardia Sanframondi e si potranno ammirare fino a venerdì 27 luglio p.v.

“Sono molto contento -ha affermato Amedeo Ceniccola, fondatore della Casa di Bacco- che nell’Art Gallery della Casa di Bacco abbia fatto tappa un artista internazionale del calibro di Valdemaras Semeska.

Spero che tanti cittadini decidano di venire, nei prossimi giorni,  nella Casa di Bacco per farsi conquistare dal fascino delle opere di questo artista che viene dalla lontana Lituania, brillante promessa della pittura internazionale, le cui opere colpiscono per il realismo, per la magia dei colori e per l’atmosfera incantata che sanno creare”.

 

Amedeo Ceniccola

Fondatore della Casa di Bacco


Viewing all 35654 articles
Browse latest View live